Il PD, peccato originale dell’amministrazione Chieco

Siamo stati facili profeti, nel giugno del 2016, dopo una campagna elettorale in cui ci eravamo fatti portatori di un’alternativa al centrosinistra, a pronosticare un amaro risveglio dal sonno delle illusioni che avvolgevano la elezione del sindaco Chieco. L’avvento del “papa straniero” poco si radicava nella mentalità di una città brulicante di piccoli interessi e per niente incline ad una egemonia virtuosa, ad una differente idea di progresso, e quindi poco aveva a che fare con un ceto politico (di centro destra come di centro sinistra) di una assoluta mediocrità. Sapevamo che si sarebbe andati ancora una volta a sbattere contro il solito muro costruito dalle lobby del mattone, contro gli interessi ventilati dal PUG, contro metri cubi e metri quadri che scatenano appetiti e vendette. Del resto le amministrazioni comunali di ‘centro-sinistra’, quando hanno tentato di applicare timidamente ciò che declamavano, abitualmente hanno fatto quella fine. Le esperienze recenti di Corato o ancor più quella di Molfetta della sindaca Natalicchio sono lì a testimoniarlo.

Il pretesto ‘nobile’ dell’incidente di percorso, e l’indubbia coerenza del sindaco Chieco nel tenere la barra di un progetto per niente banale, non tolgono nulla tuttavia al peccato originale di questa amministrazione: la continuità e la contiguità al Partito Democratico, alle sue scissioni intestine, e alla sue precedenti amministrazioni.

La questione urbana ( e non solo urbanistica…) esercita una reale incidenza sulla qualità della vita delle persone, sull’inquinamento provocato dal trasporto privato, sui bisogni di spazio dei bambini, sui tempi e sui modi con cui il lavoro crea e distribuisce la ricchezza, sulla possibilità e qualità dell’abitare. E non può essere semplicemente ridotta alla libertà di circolare con la propria autovettura o di buttare i rifiuti dove più fa comodo. La qualità della vita non è merce che si negozia sul mercato, per cui bisogna pagare la fruizione ad un possessore: è un diritto di tutti e si costruisce collettivamente, spesso anche con la lotta. Quindi nella gestione di un PUG a previsioni faraoniche (già l’architetto Di Bari , programmatore del PRG degli anni ’90, definiva ‘sovradimensionato’ quel vecchio piano), con nuovi assi viari di circonvallazione ed aree di espansione e addirittura una seconda zona industriale, si prospettava sempre lo stesso copione: aprire strade, portare acqua gas luce e fogna, e fare in modo che i suoli agricoli che scompaiono divengano suoli edificabili che decuplicano di valore.

Nessuna importanza per le stime demografiche, per l’impatto vero sulla economia dell’indotto, sui posti di lavoro stabilmente creati. L’unico e solo ‘modello di sviluppo’ del mondo conosciuto da coloro che in materia di PUG stanno mettendo in crisi l’amministrazione è questo: il cemento. Invano possiamo attendere un piano di recupero del Centro Storico, che qualifichi le abitazioni con le energie rinnovabili e il commercio con una economia di prossimità, con le manutenzioni ad alta intensità di lavoro qualificato, con gli sgravi fiscali alle famiglie che ci vivono. Invano attendiamo un censimento delle abitazioni sfitte in città e delle cubature inutilizzate nella zona industriale. La ‘valorizzazione’, per chi oggi tiene sotto ricatto il sindaco, funziona solo su ciò che viene destinato al consumo di suolo, anche con l’aumento delle volumetrie nell’agro, anche con la disattenzione verso le politiche di gestione delle risorse naturali e forestali, anche attraverso la ventilata creazione di fantastici servizi (magari con i finanziamenti pubblici ma poi gestiti da privati?) di cui non si vede esigenza o necessità.

Le amministrazioni del PD del passato hanno aperto la strada alle ‘alienazioni’ (svendite ai privati di beni immobiliari pubblici), roba da fare invidia anche alla peggior destra.

Non sappiamo che cosa augurare alla città, certo non una nuova campagna elettorale, nè tantomeno il commissariamento. Ma nemmeno un mercanteggiamento sui metri cubi che alla fine accontenti tutti e permetta di tirare a campare.

I lavoratori, i cittadini che non hanno interessi ma diritti da difendere, le competenze professionali che lavorano davvero per il bene comune, non attendono effimere prese di coscienza, appelli alla responsabilità, o un bagaglio culturale rinnovato, ma la costruzione di una alternativa sociale che incida sulla rendita, sul profitto, sullo sfruttamento del lavoro, sulla distruzione delle risorse che appartengono a tutti.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.