La Murgia dei carri armati e quella delle formiche

 

di Angelantonio Minafra

«E dovunque muri e muretti, non dieci, non venti, ma più, molti di più, allineati sui fianchi di ogni rilievo, orizzontalmente, a distanza anche di pochi metri, per contenere il terreno, per raccoglierne e reggerne un po’ tra tanto calcare. Mi chiederai come ha fatto tanta gente a scavare ed allineare tanta pietra. Io penso che la cosa avrebbe spaventato un popolo di giganti. Questa è la murgia più aspra e sassosa; […] non ci voleva meno che la laboriosità d’un popolo di formiche»
Tommaso Fiore (Un popolo di formiche, Laterza ed., 1951)

Che la Murgia fosse una terra dura e poco incline alla astrazione lo sapevano anche le genti preistoriche che la avevano per prime colonizzata. La sua stessa configurazione in saliscendi lascia spazio solo al silenzio e al vento. Alla fatica silenziosa di attraversarla, alla fatica antica di dissodarla per ricavarci pane per se e la famiglia. Le parole sono cose da sfaccendati, sono tempo perso per chi ne ha da perdere. Ma non sulla Murgia: qui le parole dei profeti che gridano nel deserto rimangono e ridisegnano strade e manti erbosi delle colline e indicano cammini nuovi agli uomini e alle donne che seguono libertà e buona volontà. Tommaso Fiore, Rocco Scotellaro, don Tonino Bello, Dino Frisullo. Noi vogliamo ripartire da qui perché questa è la nostra eredità migliore.

La Murgia, per il pensiero dominante nella modernità, sappiamo che è uno spazio vuoto da riempire.

Dopo l’oppressione del feudo, la borghesia latifondista prosegue con la politica dello sfruttamento selettivo e dello speculare abbandono: si spreme con il lavoro intensivo e a basso costo dei braccianti la terra più fertile e si lascia alla pastorizia e alla cerealicoltura estensiva la crosta di quasi nessun valore. Poi quando la tecnica lo ha reso possibile, si spietra con i trattori e si tritura la roccia calcarea superficiale per afferrare gli incentivi comunitari alla produzione di grano duro, alterando così in modo irreversibile la capacità del suolo di assorbire l’acqua piovana. Nessuno potrà mai rimediare a questo scempio ambientale, politici tecnici proprietari, nessuno sarà stato responsabile davanti alla collettività ed al futuro quando, terminata la convenienza economica a coltivare, dilavamento ed erosione produrranno un deserto alle porte di casa nostra.

Infine vennero i militari. I missili NATO degli anni ’50 erano giustificati dalla guerra fredda: c’era la minaccia sovietica da tenere a freno. Poi gli anni ’80, ancora il braccio di ferro con l’impero al tramonto e la proiezione del Sud Italia verso il contenimento dei conflitti in Medio oriente e nei Balcani: dove meglio le forze d’assalto potevano esercitarsi ad una guerra rapida e ad azioni efficaci in territori sperduti (Iraq e Afghanistan non erano già nella mente dei generali?) se non sulla Murgia dura e aspra e fatta solo di sassi ? Carri armati, artiglieria pesante e veicoli corazzati hanno ‘riempito’ egregiamente per più di trent’anni il vuoto della Murgia. Le servitù militari hanno rappresentato non solo una oppressione per le popolazioni e le attività produttive ma anche una aggressione indelebile nei confronti di un ecosistema estremamente delicato e prezioso. Il potenziale uso di uranio impoverito nei proiettili adoperati nelle esercitazioni e la produzione di piccolissime particelle di metalli pesanti che si depositano su suolo e vegetazione, non fa che rendere ancora più inquietante lo scenario di guerra che abbiamo sotto casa.

La società ha imparato a reagire e a far sentire la propria voce: i sindacati di categoria, le associazioni ambientaliste, la Chiesa nei suoi Pastori migliori (Tonino Bello e non la gerarchia che benedice le parate e predica l’obbedienza ai valori della guerra) hanno organizzato manifestazioni , petizioni, le storiche marce per la pace , il disarmo e lo sviluppo della Murgia da Gravina ad Altamura dal 1985 al 2005.

Adesso abbiamo il Parco Nazionale che non può rischiare di diventare una scatola vuota o peggio un cartellone turistico solo di facciata. Il suo presidente, Cesare Veronico, ha avuto parole coraggiose e ferme di cui prendiamo atto. Non così molti sindaci dei nostri paesi (PD o destra allo stesso modo), che per un malinteso senso ‘istituzionale’ non fanno che stringere mani degli alti comandi e presenziare parate e fanfare.

Il Parco è una opportunità irripetibile e i carri armati più che scoraggiare i turisti non possono. L’incompatibilità con l’agricoltura biologica , con l’agriturismo, con la sopravvivenza di specie animali e vegetali a rischio è evidente.

Riusciranno a vederla i parlamentari del PD che in Puglia fanno i pacifisti e difendono l’ambiente e a Roma votano senza vergogna per i bilanci della Difesa, per i cacciabombardieri F35 (14 miliardi di euro, per ora), per le privatizzazioni delle terre pubbliche del Demanio?

Noi speriamo solo che il nostro popolo di formiche, i comitati, i singoli cittadini che in questi anni non hanno smesso di denunciare e protestare, continuino il loro lavoro capillare e prezioso.

Presentiamo nella sezione ‘Materiali’ di questo blog una rassegna di documenti sull’uso militare dell’uranio impoverito, di prese di posizione dei Comitati Alta Murgia e del Presidente dell’Ente Parco e una cronologia degli interventi che ne hanno visto la nascita. Ringraziamo l’attività di studio e documentazione dei CAM nonché del Centro Studi ‘Torre di Nebbia’ (Altamura).

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