Né illudersi, né rassegnarsi

RC031

di Angelantonio Minafra

Il Partito della Rifondazione Comunista terrà il prossimo dicembre il suo 9° Congresso in una situazione drammatica. Le sconfitte elettorali, la mancanza di rappresentanza parlamentare, il calo degli iscritti, ne hanno azzerato la visibilità e rischiano di farne scomparire la presenza. Ma lo sconforto dei militanti e di quanti ancora tengono viva la presenza sociale dei comunisti nelle lotte per il lavoro e per i diritti essenziali (la casa, la scuola, la salute) si somma alla assenza di un indirizzo, di una missione chiara e consapevole da affrontare nella storia di questo Paese.

Nel momento in cui esplode la finanza speculativa e l’accumulo di ricchezza verso la grande industria e le banche, spinge ai margini della miseria milioni di lavoratori e famiglie, sembra che non ci siano alternative, che tutto ciò sia frutto di una evoluzione naturale dei rapporti sociali e che la mano invisibile del mercato possa in un lontano e migliore futuro redistribuire le briciole a chi ora sopravvive a fatica.

Allora, come comunisti, poniamoci domande precise e cerchiamo, nella pratica degli obiettivi sociali, le risposte utili alla classe che diciamo di voler rappresentare.

  1. La scelta di una linea politica e di un nuovo gruppo dirigente , per quanto necessari, non possono risolvere tutto. A che domande sociali o esigenze dei lavoratori siamo in grado di rispondere? Insomma, a che serve, qui e adesso, il Partito nella lotta fra le classi sociali? Il compito dei comunisti non deve essere mai quello di integrarsi con la politica dei ceti dominanti e dei partiti borghesi (PD e PDL), nemmeno nelle istituzioni a cui pure dobbiamo partecipare per rappresentare interessi e visioni alternative della società. Noi dobbiamo portare il disordine contro l’apparente ordine del dominio borghese: le manifestazioni di massa del 12, 18 e 19 ottobre rappresentano non una generica richiesta di diritti o legalità, ma la coscienza che dobbiamo creare, contro questo governo dei padroni e delle banche, mille fronti di lotta diversi ma uniti: un reddito minimo di sopravvivenza, un lavoro socialmente utile, la difesa della qualità della vita, una casa in cui abitare, una scuola decente per i propri figli, un ospedale in cui essere curati.
  2. Togliamoci l’illusione di avere “governi amici”:  il governo PD-PDL che regala 139 miliardi di euro alle banche, che privatizza i beni pubblici, che aiuta le industrie che inquinano e uccidono, che sperpera soldi pubblici per la TAV e gli armamenti, che stravolge la Costituzione per eliminare il dissenso, che elimina l’articolo 18 dallo Statuto dei lavoratori è un nemico del popolo e dei lavoratori e come tale va fermamente combattuto, a Roma ed in ogni piccola città di Italia.
  3. Abbiamo sbagliato a rincorrere le elezioni (e rinchiuderci nella prigione elettoralistica): la rappresentanza per noi ha un senso se spariglia il gioco, se inchioda il potere e la politica che conosciamo ai suoi crimini sociali, se occupa gli spazi non per acquietare o gestire l’esistente ma per indicare un modo diverso di produrre, distribuire, consumare, imporre tasse per favorire chi ha bisogno, difendere il territorio.
  4. A questo errore è legato quello delle cosiddette “alleanze”: il nostro unico alleato è la classe operaia e chi combatte contro i crimini sociali e ambientali del capitale, non il PD o SEL. Il Partito democratico è ormai diventato un pilastro della liberalizzazione economica, della logica dell’impresa e del profitto contro il lavoro. Chi fra noi crede ancora che esista un “centro-sinistra” con cui sia ancora possibile allearsi,  sta preparando una nuova scissione in Rifondazione Comunista, andando a fare buona compagnia ai vari Vendola e Diliberto.
  5. Il tempo delle illusioni socialdemocratiche, di una gestione ‘democratica’ delle risorse pubbliche per mantenere quieta la disperazione di chi ha perso il lavoro e la dignità, è finito per sempre. I cani da guardia della borghesia (il PD, la CGIL) vanno smascherati ovunque: negli Enti locali, nel sindacato, nelle lotte di fabbrica; favoriscono la rendita edilizia, abbassano i salari, conservano i privilegi dei funzionari, mantenendo il loro potere clientelare come i vecchi democristiani. Questo non è settarismo,  è la radicalità necessaria di una classe ridotta alla fame nell’additare i propri nemici; la strada obbligata dei comunisti è la costruzione di un autonomo blocco sociale, fuori e contro il “centro-sinistra”.
  6. La priorità è il lavoro da creare e le risorse da recuperare con la tassazione dei grandi patrimoni e la socializzazione e autogestione di banche e industrie in crisi; la priorità è qualità della vita e dell’ambiente (l’ILVA a Taranto è l’esempio che il capitale privilegia il profitto, non la vita delle persone); la priorità è difendere i lavoratori con un sindacato di classe e non con quello addomesticato ai bassi salari (come la FIAT vorrebbe a Pomigliano o Melfi); la priorità è costruire case popolari per le famiglie che non possono pagare gli affitti.

La politica “moderata” nega che esista il conflitto sociale fra le classi, ma è uno strumento della lotta contro i lavoratori e semina rassegnazione e sfiducia in chi dovrebbe invece organizzarsi per difendersi. Se i comunisti non diventano nuovamente capaci di far crescere la rivolta sociale, individuando ogni volta obiettivi, avversari e risultati da raggiungere, allora non sono necessari a nulla!

Quindi i comunisti devono uscire dalla sola logica istituzionale e non accontentarsi di fare il “sindacalismo della legalità” come i movimenti protestatari e inconcludenti della piccola borghesia, IdV e 5Stelle, che non mettono in discussione sfruttamento, profitto e sovrapproduzione di merci. Altrimenti non avremmo più alcuna credibilità se continuassimo a sedere nei luoghi e con le persone che decidono la distruzione dello stato sociale e la svendita dei beni comuni. E saremmo destinati a definitiva scomparsa, finché nuove generazioni ed energie torneranno a dimostrare con il loro rinnovato impegno che la lotta per il comunismo è un pezzo del motore che muove la storia dei popoli e delle società.

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