Palestina: la resistenza di un popolo (1830 – 1920)

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di Pietro Pasculli

Alla metà dell’Ottocento, l’Impero Ottomano comprendeva i territori della cosiddetta Grande Siria. Il territorio era suddiviso in varie regioni tra cui le odierne Iraq, Giordania, Siria, Libano e Palestina. Il territorio palestinese, contava circa 500.000 abitanti, tutti arabi.

Gli ebrei, vivevano sparsi un po’ in tutta Europa, ma soltanto la Russia zarista accoglieva ben 5 milioni di ebrei (la comunità israelitica più grande del mondo). Agli ebrei erano interdette molte professioni, diritti, privilegi, e fu proprio in un clima caratterizzato da un diffuso antisemitismo che nacque l’ideologia sionista. Il sionismo, è un movimento politico che nasce alla fine dell’Ottocento, nazionalista, che ha come fine la creazione di uno Stato ebraico. I suoi precursori, furono 2 rabbini, Yehuda Alkalai e Zvi Hirsch Kalischer. Questi ritenevano possibile la creazione di uno Stato Ebraico, acquistando dal sultano ottomano i territori – terreni palestinesi (pamphlet Ascolta Israele, 1834). Negli stessi anni, alcuni intellettuali inglesi e tedeschi, si fecero portatori di questo disegno, non per amore della condizione ebraica, ma per liberarsi finalmente dai tanto odiati ebrei europei e favorire la diffusione della civiltà occidentale nel “barbaro” oriente (Moses Hess). La situazione precipitò quando, nel 1881 fu assassinato lo Zar Alessandro II, e si sparse la voce che la colpa fosse da imputare agli ebrei. A seguito di questo avvenimento molti ebrei lasciarono la Russia ed iniziarono ad emigrare in massa verso la “terra promessa“, verso la Palestina.

Le autorità ottomane preoccupate da questa ondata migratoria, cercarono di impedire la discesa di migliaia di ebrei nelle proprie terre, ma a seguito di forti pressioni britanniche, non ostacolarono tale esodo. La questione ebraica, anche a seguito del caso Dreyfus, iniziò a farsi strada nell’ambito della politica internazionale, e così, varie personalità di tutta Europa cercarono di organizzare a tavolino l’esodo degli ebrei e l’aggressione al popolo palestinese.

Il più attivo fu il giornalista ebreo ungherese Theodor Herzl. Herzl affermava che l’unica soluzione alla questione fosse la fondazione di uno Stato ebraico, sostenuto da grandi potenze europee, dove gli ebrei potessero riunirsi, e come possibili sedi per lo Stato ebraico propose l’Argentina o la Palestina. I primi coloni ad essere inviati sul posto, sempre secondo Herzl, sarebbero stati elementi degli stati più bassi della società, perché “solo i desperados sono adatti alla conquista”. Il primo Congresso sionista mondiale fu convocato a Basilea il 29 agosto del 1897 ed aveva come obiettivo un programma per la creazione in Palestina di un insediamento ebraico.

A seguito dei pogrom zaristi del 1902, ci fu una massiccia emigrazione di ebrei in Palestina, la seconda Aliyah (1904 – 1914). Questi coloni, che successivamente avrebbero dato vita allo Stato di Israele, si mossero verso la Palestina osservando le indicazioni di Herzl e soprattutto di Menahem Ussiskin, uno dei leader sionista, che affermava: “La terra si ottiene in tre modi: con la forza…. rubandola al proprietario, con l’esproprio o tramite una compravendita“. Il rapporto tra coloni (Israeliani) e palestinesi si configurò quindi come una tipica relazione tra colonizzatori e colonizzati. I coloni della seconda Aliyah appartenevano alla corrente del sionismo laburista nazionalista, lo stesso bacino ideologico dei vari fascismi europei.

In un primo momento i coloni israeliani, utilizzavano la manodopera araba per le proprie terre, soprattutto quella beduina, manodopera a basso costo e presa in ostaggio dai nuovi invasori. Solo successivamente, gli ebrei, si resero conto che la formazione di uno Stato Ebraico non sarebbe mai stata possibile se le colonie avessero continuato ad impiegare manodopera araba, così, gli imprenditori sionisti decisero di allontanare definitivamente gli arabi, che in pochi anni si ritrovarono senza terra e senza lavoro. Con lo smembramento dell’Impero ottomano e con l’inizio della prima guerra mondiale, il popolo palestinese dovette combattere anche l’imperialismo delle nazioni europee. La più attiva in questo senso fu la Gran Bretagna che attraverso un accordo segreto con gli ebrei (Decreto Balfour), si garantì l’accesso all’India e la propria sfera di influenza in Palestina e Mesopotamia.

A guerra finita, al Congresso supremo internazionale di Sanremo del 1920, furono fissati i confine del Medio Oriente. L’Iraq, la Transgiordania e la Palestina furono affidati alla sfera di influenza britannica, il quale riaffermò la propria intenzione di applicare la Dichiarazione Balfour, dichiarazione che permetteva l’istituzione in Palestina di un focolare nazionale ebraico. Con tale decreto che prevedeva diritti e doveri per gli ebrei ma non per gli arabi, circa 700.000 arabi furano espropriati con la forza delle proprie terre e affidate a 60.000 ebrei. Per il popolo palestinese, il 1920 entrò nella memoria collettiva come l’anno della prima Naqba (=catastrofe).

Sin dal principio la questione ebraica è stata posta come una questione nazionale, quando una questione nazionale non lo è mai stata. Come affermava lo stesso giornalista ebreo Herzl, uno dei fondatori del movimento sionista, l’unica cosa a tenere uniti gli ebrei è “l’antica fede“. È come se i cattolici di tutta Europa decidessero di dar vita e di riunirsi in un unico Stato solo perché condividono di uno stesso credo. I coloni ebrei provenivano da nazioni diverse, con lingua e cultura differente, ma hanno aggredito un popolo, il popolo palestinese con il motto: “Un popolo senza terra per una terra senza popolo” quando in realtà quella terra era abitata da più di 500.000 arabi.

I vari stati europei inoltre hanno appoggiato questo disegno infame per liberarsi del proprio nemico storico, quello ebraico. Il sionismo infatti è nato e nasce da una cultura antisemita, la stessa cultura che spinge l’occidente intero ad appoggiare le bombe di Israele su Gaza, la stessa cultura che cerca di nascondere gli stupri fisici e materiali compiuti ad un popolo che cerca di resistere, la stessa cultura che ha inventato il revisionismo storico per legittimare la propria azione criminale.

2 commenti su “Palestina: la resistenza di un popolo (1830 – 1920)

  1. Fatemi capire una cosa. In Palestina c’erano 500 mila palestinesi, e gli ebrei ne espatriarono 700 mila occupando le “poche” terre iniziali?

    1. La popolazione araba è evidentemente cresciuta tra metà ottocento e il periodo della Nakba (1920-1948): nel ’48 si contavano 1.400.000 palestinesi circa, ne furono espulsi 700.000 circa secondo le stime ONU, 900.000 secondo le fonti arabe.

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