Politica a scuola

di Francesca De Astis

Negli ultimi anni il ruolo dell’istituzione scolastica ha subito importanti cambiamenti e anche le sue finalità sono cambiate, sotto i colpi di governi di destra prima, di pseudo sinistra poi. Già nel 2011, fu decretato il divieto di fare propaganda politica nelle scuole, poiché si riteneva che i professori inculcassero le loro idee politiche negli alunni. Ora chi lo fa rischia da 1 a 3 mesi di carcere.

Perché si è arrivati addirittura a punire chi esercita la sua libera espressione?
Innanzitutto dobbiamo capire qual è la finalità della scuola secondo la nostra Costituzione: serve a formare cittadini critici e capaci di ragionare e giudicare, di certo non a creare merce da introdurre nel mondo lavorativo, succube di chi ci vuole servi privi di ogni vaglio critico e ragione lucida ma ricchi di competenze, come intende la “Buona Scuola” di Renzi.

È chiaro che la presenza di luoghi ancora pubblici e democratici fa paura. Vietare di parlare di politica, in un luogo nel quale i ragazzi vengono formati ed educati, porta i giovani a non avere idee chiare, essere confusi e a ignorare quanto avviene nella realtà circostante. Il docente non è un automa. I valori, le conoscenze, l’orientamento politico vengono necessariamente alla luce. Ogni giorno abbiamo a che fare con persone diverse tra loro e veniamo in qualche modo influenzati dai loro pensieri. Vietare di parlare di uno degli aspetti più importanti di un cittadino è censura, abolizione della libertà di espressione. I potenti preferiscono il silenzio piuttosto che il dialogo, la dialettica tra orientamenti diversi, perché è più facile governare un popolo inconsapevole, incosciente. Fare politica non deve giustificare il fare propaganda, ma permettere che a scuola si parli di come funzioni il nostro Stato, della Costituzione, dei partiti e movimenti che costituiscono il nostro panorama politico. È, quindi, doveroso introdurre educazione civica tra le discipline curricolari.

Inoltre, perché la politica è un vero e proprio tabù mentre la religione cattolica invade ancora in maniera prepotente l’istituzione scolastica? La scuola non dovrebbe essere laica? Insegnare aspetti riguardanti la vita personale e intima è lecito, aspetti riguardanti la vita comunitaria non lo è. Lo si vede bene nelle nostre scuole come il “potere” religioso e coloro che lo esercitano prendono sempre più il controllo della vita scolastica, mentre invece è sconsigliato vivamente parlare di attualità politica. Ad esempio, denunciare i crimini compiuti dalla Turchia nel Kurdistan siriano, infatti, a scuola, è stato considerato prendere posizione politica. Perché questa polemica non si pone quando ai professori è permesso di partecipare alla messa in orario di servizio? È la religione che dovrebbe essere incompatibile in un contesto pubblico quale è la scuola (questo non significa annullare la propria identità), non la politica. Che valore hanno le conoscenze apprese dagli studi se non si possono mettere in atto con l’attualità? Perché la libertà deve essere censurata in nome dell’oggettività e di pensieri asettici?
Diceva Jules Renard: «Non mi occupo di politica è come dire: non mi occupo della vita.»

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