Ruvo e le foibe: alcune precisazioni in risposta ad Ugo Pellicani

Pubblichiamo alcune precisazioni di Vincenzo Colaprice in merito alla nota inviata da Ugo Pellicani alla testata RuvoLive (https://ruvolive.it/2023/03/07/ugo-pellicani-la-pura-memoria-e-i-dolori-subiti-da-noi-familiari-portano-unesperienza-reale-e-inconfutabile/) in risposta al nostro precedente articolo “Ruvo e le foibe: più di un ragionevole dubbio”.


Lo scorso 28 febbraio il circolo del Partito della Rifondazione Comunista ha ritenuto opportuno condividere pubblicamente una mia ricerca relativa ai tre ruvesi commemorati dal Comitato “Dieci Febbraio” attraverso l’apposizione di una lapide. Nella giornata del 7 marzo 2023 è giunta la reazione di Ugo Pellicani, nipote di Vincenzo, uno dei tre ruvesi ricordati nella suddetta lapide. Mi sembra doveroso effettuare alcune precisazioni e pertanto rispondere in prima persona.

Innanzitutto, è utile porre alcune premesse. Mi preme affermare che apprezzo i toni e i contenuti della risposta pubblica formulata da Ugo Pellicani, fortunatamente lontana dagli insulti gratuiti indirizzati al sottoscritto, frutto di reazioni scomposte rilevate sui social network. Gli esiti di una ricerca storica sono chiamati a confrontarsi con il dibattito pubblico, ma a patto che questo confronto si svolga nei limiti delle regole del vivere civile.

Penso che quanto scritto da Pellicani concorra ad arricchire la ricostruzione storica. Per queste ragioni, la pagina web dove è stata pubblicata la ricerca è stata immediatamente corredata di rimandi alla testimonianza di Ugo Pellicani pubblicata su RuvoLive (si veda https://proletariaruvo.altervista.org/ruvo-e-le-foibe-piu-di-un-ragionevole-dubbio/).

Inoltre, credo che sia necessario ribadire che il saggio “Ruvo e le foibe, più di un ragionevole dubbio” ponesse l’attenzione su temi di carattere metodologico e storiografico, non esprimendo in alcun passaggio giudizi di valore sui tre ruvesi; giudizi che non appartengono al ruolo dello storico, come dichiarato in apertura. Non è un caso che il saggio inizi con una lunga introduzione che mette a fuoco in maniera precisa diversi temi:

  • L’esistenza di un ampio dibattito relativo all’uso politico della storia del confine orientale, ben presente a chi si occupa di ricerca storica e facilmente riscontrabile attraverso la lettura delle più recenti pubblicazioni su questo tema;
  • La fragilità delle fonti a supporto dell’elenco degli “infoibati” pugliesi, utilizzato come base per le commemorazioni nella nostra Regione. Una critica non nuova e già testimoniata dalla pubblicazione dello storico pugliese Pati Luceri, opportunamente citata nel saggio;
  • L’assenza – emersa dalla ricerca e (mi pare) non smentita – di documenti riguardanti l’infoibamento dei tre ruvesi. Inoltre, rispetto alle vicende di Chiarulli e Minafra, sono affiorate ricostruzioni biografiche contraddittorie, le quali sono state presentate così come emerse dalle fonti consultate. La stragrande maggioranza delle affermazioni relative ai tre ruvesi è supportata da fonti documentali o bibliografiche citate a piè di pagina. Stante la mia disponibilità a condividere la documentazione raccolta, non spetta a me fare chiarezza ma al Comitato che si è fatto promotore delle celebrazioni. A tal proposito, mi preme sottolineare di essere in attesa di ulteriore documentazione da parte della Sezione di Barletta dell’Archivio di Stato di Bari, in modo da non tralasciare alcun tipo di fonte documentale e poter fornire eventuali aggiornamenti.

È chiaro che un dibattito pubblico su questi temi rischia di scadere nello schieramento di tifoserie opposte, avvallando una stupida “guerra dei morti” o pensando che in fin dei conti si tratti di una questione di lana caprina. Non dubito del fatto che la scomparsa di un caro, che sia infoibato o disperso, non cambi il dolore che eventi tanto luttuosi possano aver arrecato alla famiglia Pellicani, così come alle altre famiglie delle vittime e degli esuli. Penso, tuttavia, che sia opportuno condividere con la comunità tutto quanto possa essere necessario alla formazione di un pensiero critico rispetto a determinate vicende storiche, aumentando il livello di dibattito e di consapevolezza. La pietà e il rispetto verso le vittime di queste vicende è fermo e immutato.

Infine, l’ultima premessa riguarda la necessaria distinzione tra storia – intesa come disciplina basata sulla ricerca e sullo studio delle fonti e pertanto sempre problematica e mai definitiva – e memoria – basata sull’esperienza umana e appartenente ad una dimensione intima che riguarda un singolo o un gruppo di persone. Si tratta di una distinzione ben nota a chi si occupa di storia, poiché non sempre gli esiti della ricerca storica si accordano con la memoria.

Effettuate tali premesse, espongo qui alcune considerazioni relative a determinate affermazioni contenute nella risposta pubblica di Ugo Pellicani.

  • Sul cantiere navale di Monfalcone: non vi è nulla da eccepire rispetto alle informazioni riguardanti Vincenzo Pellicani quale lavoratore del cantiere. Monfalcone, così come Genova e altri porti del nord Italia, è stata terra di emigrazione ruvese; pertanto, le informazioni riportate sono utili alla ricerca. Dopo l’8 settembre 1943, come affermato anche nel saggio, Monfalcone rientra all’interno dell’OZAK, ovvero ricade sotto il controllo diretto del Terzo Reich. La presenza dell’Organizzazione Todt a Monfalcone e nel territorio giuliano è attestata dalla letteratura (si veda nel saggio la nota a piè di pagina n. 65 con riferimento all’articolo di Roberto Spazzali), da canti popolari (si veda il canto triestino I ne g’ha messo de la Todt) e da documentazione dell’epoca.
  • Sui cittadini che preferiscono lavorare per lo sforzo bellico tedesco: per quanto la mia affermazione possa essere fuorviante, allo stesso modo non è corretto estrapolare la frase e non citare l’intero periodo che qui riporto dalla pagina 16 del saggio: “Masse di prigionieri di guerra e cittadini che preferiscono lavorare per lo sforzo bellico tedesco piuttosto che tornare al fronte sono mobilitati all’interno delle attività dell’Organizzazione Todt”. Nel periodo non è espresso un giudizio di valore verso quei cittadini, ma si dà conto della situazione difficile e contradditoria imposta dall’occupazione tedesca della Venezia Giulia. I bandi pubblicati nell’autunno 1943 dalle autorità tedesche imponevano una scelta senza scampo tra l’arruolamento nelle forze armate (tedesche o repubblichine) e il lavoro coatto. È comprensibile che diversi cittadini preferissero il lavoro – seppure utile allo sforzo bellico tedesco – alla possibilità di tornare e/o finire al fronte. Mi sembra un’affermazione lapalissiana rispetto alla quale è assurdo costruire un’interpretazione così forzata.
  • Su Pellicani e l’Organizzazione Todt: il sottoscritto si è limitato a riportare le informazioni presenti nell’Albo dei caduti e dispersi della Repubblica Sociale Italiana, pubblicato dalla Fondazione della Repubblica Sociale Italiana-Istituto Storico nel 2019 a cura di Arturo Conti. La fonte è disponibile online a questo link, https://www.fondazionersi.org/caduti/AlboCaduti2019.pdf, e menziona Vincenzo Pellicani quale dipendente dell’Organizzazione Todt a pagina 596, come già indicato nel saggio dalla nota a piè di pagina n. 63. Da questo punto di vista, qualsiasi volontà di impugnare questa “etichettatura” andrebbe indirizzata verso l’ente e l’autore che hanno divulgato tale Albo, rispetto al quale chi scrive non ha responsabilità.
  • Su Pellicani e il collaborazionismo: il termine “collaborazionista” (usato per definire gli italiani che collaborarono con gli occupanti tedeschi) appare nel saggio una sola volta (pagina 16) in relazione a Vincenzo Pellicani. Viene utilizzato nel tentativo di interpretare la deportazione di Pellicani, essendo un semplice civile. Nel saggio si dà ampio riscontro delle violenze consumatesi nella primavera 1945 nei territori della Venezia Giulia liberati dagli jugoslavi, delle modalità non sempre legittime e cristalline con cui furono condotti gli arresti e degli innocenti rimasti coinvolti in queste vicende. Si veda a titolo d’esempio quanto affermato a pagina 6. Pellicani non è mai definito collaborazionista, ma si afferma che gli jugoslavi potrebbero averlo considerato tale sulla base del lavoro prestato in un sito controllato dall’Organizzazione Todt. Si tratta di una libera deduzione basata sugli elementi restituiti dalle fonti consultate, un’ipotesi che può essere smentita o avvalorata. Certamente il sequestro, l’arresto e la deportazione di Pellicani restano dei crimini ingiustificabili.
  • Sui cantierini monfalconesi: la riflessione sul “gruppo dei monfalconesi” riportata verso la fine del testo di Ugo Pellicani è piuttosto utile. A questa vicenda si fa cenno anche nel saggio attraverso la nota a piè di pagina numero 22, quale caso esemplificativo delle enormi contraddizioni interne al movimento operaio italiano nella relazione con la nascente Jugoslavia di Tito.
  • La sintesi “irricevibile”: le poche righe utilizzate per riassumere la vicenda di Vincenzo Pellicani si ricollegano solo ed esclusivamente a quanto contenuto nelle fonti citate. Inoltre, l’utilizzo del modo condizionale non è casuale. Il modo condizionale esprime nella lingua italiana “ipotesi e possibilità” (https://www.treccani.it/vocabolario/condizionale), dunque è evidente che l’utilizzo del condizionale è legato alla non definitività della ricostruzione storica offerta. Continuano, tuttavia, a mancare certezze documentali che possano avvalorare la tesi dell’infoibamento.

In conclusione, nessuno mette in discussione il vissuto della famiglia Pellicani, rispetto al quale si deve tributare il massimo rispetto e le cui memorie sono utili e assumibili nel contesto più ampio della ricerca.

Tuttavia, il saggio ha posto delle questioni di metodologia della ricerca storica in maniera molto precisa, non esprimendo giudizi di valore su nessuna delle figure coinvolte e limitandosi ad evidenziare la frettolosità nell’associare i nomi dei tre ruvesi alle foibe. Da questo punto di vista non è il sottoscritto a dover dare delle spiegazioni, essendoci fonti e documenti a supporto. L’idea di denigrare qualcuno o di attaccare la memoria delle famiglie dei tre caduti è quanto di più lontano esista dalla cultura e dalla sensibilità di chi scrive. Resta la massima disponibilità ad integrare e rivedere la ricerca qualora fossero disponibili ulteriori fonti documentali.

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